Fondato nel 2005 da Luca Baldini (architetto) e Marco Baldini (designer), lo studio Q-Bic si occupa di architettura, ma anche di grafica, design, allestimento di spazi temporanei, fino alla regia di eventi legati al mondo della moda e del teatro. «Concepiamo la progettazione come un’attitudine a creare un carattere riconoscibile ad ogni livello» dichiarano, ed è per questo che con Luca abbiamo scelto di fare una chiacchierata sul mondo dell'illuminazione. L'architetto ha condiviso la sua visione della luce, svelato qualche buona pratica e provato a individuare alcune tendenze in ambito product.
Quanto è importante l'illuminazione nella definizione di uno spazio, sia esso pubblico o privato, e come ci si approccia a un progetto di lighting?
«Non sono un lighting designer ma un architetto, seguo progetti pubblici e privati da molti anni, mi occupo molto di interior design ma anche di grandi building. In questo momento ad esempio con il mio studio Q-Bic stiamo seguendo il recupero e la riconversione della Manifattura Tabacchi di Firenze. Chiaramente il mio lavoro non può prescindere dall'illuminazione, è uno degli elementi che maggiormente può definire il carattere degli spazi, che può suggerirne la lettura e l'interpretazione da parte di chi li vive. A mio avviso non ci sono regole universalmente applicabili e sempre valide, non riesco a dare delle "ricette" sulla luce, bisogna procedere di volta in volta con un'analisi preliminare e con la valutazione di diverse idee per trovare il giusto equilibrio. La luce è uno strumento che serve a creare l'atmosfera e a catalizzare l'attenzione, può generare sensazioni di calore o freddezza, da calibrare in base alla funzione del luogo. Non parto mai con schemi che devo per forza mettere in atto, non ho preconcetti o punti fissi. Ci sono poi i gusti personali, ad esempio io non amo gli ambienti in cui la luce è uniformemente diffusa, piatta, amo invece gli accenti, le zone d'ombra contrapposte ai dettagli più evidenziati».
Ci sono dei trucchi o delle buone pratiche per raggiungere un risultato ottimale, che risponda alle caratteristiche del luogo e alla sua destinazione d'uso?
«Nella scelta bisogna considerare che i corpi illuminanti così detti "decorativi" sono sia elementi tecnici, sia pezzi d'arredo. Sono presenti anche quando sono spenti, arricchiscono e riempiono i luoghi con le loro forme, colori e materiali, perciò è importante valutare anche questi aspetti. Mi spingo però a dire che spesso le lampade decorative non hanno grandi performance dal punto di vista illuminotecnico e da sole non sono sufficienti, servono spot e faretti – meglio se nascosti – che le supportano per raggiungere i giusti valori nello spazio e sui piani».
Nel suo portfolio di interni, c'è qualche progetto che ritiene particolarmente riuscito dal punto di vista dell'illuminazione e perché?
«C'è un locale che forse più di altri rispecchia il mio modo, e quello del mio studio, di intendere la luce in spazi pubblici: si tratta de La Ménagère, nel cuore del centro storico di Firenze, realizzato qualche anno fa in collaborazione con Karman. Per l'occasione abbiamo deciso di "sposare" l'azienda e, a eccezione di qualche spot di necessario supporto come spiegato poco fa, i prodotti appartengono tutti al catalogo del brand. Ci ha colpito la vastità delle proposte, in un bar-bistrot con corner vendita dall'ampia superficie di oltre 1.000 metri quadrati avevamo bisogno di creare atmosfere diverse. Abbiamo pescato soluzioni differenti per materiali – gesso, cemento, metallo, tessuto – molto varie per disegno e stile ma, allo stesso tempo, con una matrice comune che le rendeva accostabili. Direi quasi una coerenza nella diversità, un punto di forza notevole che ci ha fatto scegliere Karman anche per allestimenti temporanei. Un paio di anni fa ci siamo occupati dello styling per una cena di gala all'interno di una parte ancora non recuperata della ex Manifattura Tabacchi, un capannone enorme con un tavolo comune al centro sottolineato dalle lampade che, con la loro presenza scenica forte, hanno creato un effetto scenografico direi quasi magico».
Per la sua esperienza, come si è evoluto il concetto di illuminazione negli ultimi 10-20 anni? Che cosa ha maggiormente contribuito a questa evoluzione?
«Sicuramente l'avvento dei Led ha rappresentato una rivoluzione, un salto enorme nella tecnologia che è stato però graduale. Appena approdati sul mercato, i Led emettevano una luce molto fredda ed erano applicati solo su soluzioni tecniche, negli anni si sono evoluti e diffusi ovunque, fino a "conquistare" le lampade d'arredo. Negli ultimi anni poi c'è stata un'apertura generale verso influenze provenienti da culture altre, anche lontane nello spazio e nelle simbologie, le tradizioni locali si sono spesso ibridate e sono evolute in qualcosa di nuovo e assolutamente inedito. Anche in ambito illuminotecnico».
Parlando di prodotto, quali sono secondo lei le ultime tendenze (formali, di approccio all'oggetto, di utilizzo dei materiali) nell'ambito dell'illuminazione?
«Siamo in un periodo storico in cui, da un lato, si desiderano sperimentare forme nuove e inedite, che oggi è possibile progettare con precisione grazie ai software 3D, testandone la fattibilità ancor prima della realizzazione del prototipo. Sul fronte diametralmente opposto c'è un diffuso e grande ritorno verso i materiali nobili usati nel passato. Se negli anni '80 e '90 erano stati messi da parte in favore di plastiche e polimeri sintetici, oggi ritornano il vetro, l'ottone, il legno. Si tratta di soluzioni classiche che possono essere rilette in chiave contemporanea senza perdere di autenticità, risultando sempre originali e stupefacenti nonostante siano ben conosciute».